Ci sono nomadi digitali a Madeira?
L’isola è una località adattissima ad accogliere nomadi digitali.
La ricezione è ovunque ottima, caffetterie locali e ristoranti sono dotati di wifi e si trovano facilmente molte abitazioni a basso prezzo su Airbnb, soprattutto viaggiando in bassa stagione.
Quando sono arrivata a Madeira non avevo assolutamente idea che esistesse un villaggio per nomadi digitali.
Che cos’è il digital nomads Village
Nel 2021, nel paese di Ponta do Sol, è nato il Digital Nomads Village: un vero e proprio resort, dedicato appunto a digital nomads e fondato dallo startupper Gonçalo Hall.
Se mi leggi abitualmente, o se mi segui su Instagram, sai bene quanto non condivido la cultura mainstream legata al nomadismo digitale.
Quella che, per intendersi, ha portato i toast all’avocado e il Latte Mocha in ogni angolo remoto del globo.
Per me viaggiare significa conoscere la diversità, entrarci in punta di piedi e rispettarla con reverenza, anche quando è fortemente scioccante.
Così ho lavorato e viaggiato in mezzo mondo: India, Nepal, Perù, recentemente Rwanda, Uganda, Mozambico e chiaramente, in Europa.
Insomma, io non vedo motivo valido per creare un resort per digital nomads, quando tutto quello che voglio, da digital nomad, è essere libera di scoprire e immergermi totalmente nella comunità locale che mi ospita di volta in volta.
Detto questo, ho approfondito l’argomento e mi sono imbattuta in un’intervista che Nomadi Digitali ha fatto proprio a Gonçalo, il founder della startup Madeira e del Digital Nomads Resort.
La trovi qui, così puoi farti un’idea senza la mia intermediazione.
(è in Inglese ma è anche tradotta in Italiano)
Gonçalo sostiene che l’obiettivo del progetto è quello di creare maggiori opportunità di lavoro sull’isola connettendo a questo hub attività locali che contribuiscono a mantenere integra la cultura locale.
L’ho ascoltato con attenzione, e nonostante abbia percepito una genuina bontà d’intenti, rimango fortemente perplessa sulla bontà degli effetti di medio e lungo periodo di queste attività sullo strato sociale del territorio.
Durante la mia esperienza di vita, viaggio e lavoro all’estero, ho visto centinaia di luoghi deturpati da iniziative come questa.
Le nostre vicinissime Canarie, dove è più facile trovare una English breaksfast che un piatto di pescato, il sud dell’India, e in particolare, lo stato di Goa, dove sfido chiunque rintracciare sulla spiaggia di Arambol qualcosa di puramente indiano, la mia amatissima Lisbona, stravolta nei prezzi e in buona parte nell’offerta, (anche solo gastronomica), dalla presenza di stranieri.
Non fraintendermi, non voglio certo dire che non ci dovremmo spostare e che il nomadismo digitale ha un effetto negativo tout court.
L’apertura e la contaminazione hanno un valore enorme per me, guidano a pieno la mia vita.
Credo però che serva responsabilità e rispetto nell’approcciarsi al diverso.
E che creare hub come questi porti con sé un rischio enorme di omologazione dei luoghi, con effetti disastrosi sulla ricchezza delle culture locali.
Quelle che ci spingono a viaggiare, ma che finiamo per distruggere.
Come conciliare il nomadismo digitale con la tutela della società di accoglienza?
Vivendo come i locali.
Mangiando nei ristoranti, trattorie o baracchine di strada degli abitanti del luogo, comprando il loro artigianato, facendo la spesa nei loro negozi e nei loro mercati, supportando la loro economia e valorizzandone le caratteristiche originarie anziché ricercare ciò che “lasciamo a casa”.
Proprio noi che ci vantiamo di avere il mondo, come la nostra casa.
Durante la mia settimana a Madeira ho alloggiato nel piccolo appartamento di una famiglia locale a São Vicente.
Trovi in questo articolo la mia guida su Cosa vedere una settimana a Madeira
Mi piacerebbe tanto piacere che pensi di questo argomento.
Qual è, per te, l’impatto che noi nomadi digitali abbiamo sui luoghi?
Ti ascolto e ti abbraccio,
Silvi
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