Lima la Fea: il mio arrivo in Peru

che cosa è un brand

Yogi | consulente di comunicazione | nomade digitale

Sviluppo idee creative per aiutare brand e destinazioni a trovare clienti grazie a contenuti web mentre gestisco male la mia dipendenza da viaggi e caffeina.

Felice di conoscerti Perù

(Questo articolo ti racconta il mio arrivo in Perù, il precedente lo trovi qui. )

 

Lima viene chiamata “la Fea” dagli stessi peruviani.

Feo significa brutto. Infatti la capitale non vanta assolutamente bellezze architettoniche imperdibili, né scorci paesaggistici mozzafiato.

Per quasi tutto l’anno è ricoperta da un cielo grigio di gran lunga peggiore di quello londinese, e da una tipica nebbiolina, la garùa, che insieme agli altissimi livelli dumidità ti si insinua nelle ossa nonostante faccia quasi sempre caldo. 

Da Volterra a Lima ci sono circa 11.000km di distanza.

Il mio viaggio iniziava guidando fino alla stazione centrale di Firenze dove avrei preso il treno per raggiungere Milano Malpensa. Da lì un primo volo fino a Madrid. Poi l’altro che mi avrebbe condotto a Lima.

Senza considerare i tempi di auto e treno, dovevo volare per 17 ore, interrotte da uno scalo di 2 in Spagna. Una volta raggiunta Lima, avrei dovuto organizzarmi per raggiungere Huamachuco che dista 750km dalla capitale.

In verità, il vero viaggio sarebbe cominciato proprio all’arrivo in Perù.

Poche settimane prima della partenza il Sud America era stato investito da un fenomeno atmosferico conosciuto come El Nino.

Si tratta di un surriscaldamento delle acque oceaniche che provoca piogge torrenziali e importanti allagamenti delle aree più colpite.

E’ un fenomeno ricorrente che si presenta con una media di circa 5 anni causando importanti danni alle comunità colpite, nonché il proliferare di alcune malattie legate agli insetti che trovano nei territori alluvionati, il loro habitat naturale.

Il Perù era dissestato. La maggior parte delle strade era chiusa. Le città costiere allagate. Quelle dell’entroterra, come Huamachuco, completamente isolate.

La mia testardaggine mi aveva spinta a partire ad ogni costo ma sapevo che una volta arrivata a Lima avrei dovuto accertarmi delle condizioni climatiche per capire come, e se, poter proseguire.

Il Volo da Madrid a Lima decollò con 3 ore di ritardo, quindi arrivai in Perù a mezzanotte.

 

Stavo atterrando in una città di 10 milioni di abitanti, composta prevalentemente da baraccopoli, e considerata tra le mete più pericolose della terra, di notte. Da sola.

 

Questo pensiero non mi spaventava però. Gli aeroporti, soprattutto quelli internazionali, sono sempre luoghi sicuri ed estremamente controllati. Avrei preso un taxi all’arrivo e mi sarei fatta portare al volo nel quartiere di Miraflores, (una delle zone sicure di Lima), dove dormivo.

 

Prima di partire avevo anche avuto il privilegio di conoscere Ljuba, una ragazza originaria di un piccolo paese vicino al mio, che aveva vissuto per molto tempo in Perù prima di sposarsi con un peruviano. Lei mi aveva ricoperta di informazioni utili.

Consigli essenziali per viaggiare sicura ma senza essere spaventata. Tra questi c’era: “prima di salire su un taxi, oltre a negoziare il prezzo, controlla che sul sedile posteriore non ci sia nessuno! Perché potrebbe esserci qualcuno che una volta salita cerca di derubarti”.

Così feci al mio arrivo.

 

Descrivere le sensazioni di quei momenti non è semplice.

Nella mia mente si alternavano pensieri di ogni genere. Il fortissimo stato di eccitazione per essere finalmente arrivata in Sud America era uno di questi. Dal finestrino del taxi che mi accompagnava all’ostello vedevo la città cambiare forma.

Dalla zona aereoportuale di Callao si susseguivano kilometri e kilometri di vere e proprie baraccopoli.

In una alternanza palazzi alti cedevano il passo a strutture di lamiera. E tra panni stesi ovunque, cibo di strada e il manifestarsi di una vita all’apparenza così diversa dalla mia, piano piano incontravo il Perù.

Ero estasiata, ma attenta.

Attenta ad ogni singolo dettaglio, perché quando sei una donna non puoi mai permetterti di perdere il controllo. E se sei in viaggio questo vale ancora di più.

 

Pur essendo notte fonda il clima era di una umidità soffocante. Lo avevo già vissuto in Jamaica ma non lo ricordavo così intenso, e soprattutto, non lo avevo ancora mai sperimentato in una città popolosa e inquinata come Lima.

 

Quando l’indomani mattina mi svegliai, la città dormiva ancora. Iniziai la mia esplorazione in cerca di un caffè. Quel giorno avrei dovuto procurarmi una scheda sim locale e trovare il modo di raggiungere Huamachuco.

 

Tutto era calmo e silenzioso. Le strade erano deserte, i negozi ancora chiusi. Mi trovavo in uno dei tre quartieri ricchi della città, dove ci si può muovere liberamente e in sicurezza. Mi guardavo intorno e quello che mi si presentava agli occhi erano edifici moderni, centri commerciali immensi, ristoranti, bar, locali di ogni genere.

Nel giro di poche ore le strade si inondarono di persone, peruviani e stranieri. Gli autobus urbani sono vecchissimi e malandati.

Sfrecciavano stracolmi di gente e su tutti c’era una persona che tenendosi aggrappata con una mano al veicolo, con l’altra incitava i passeggeri a salire urlando le destinazioni della corsa.

Ci sono diversi modi di spostarsi in Perù. Il più costoso e più ovvio è chiaramente il taxi che funziona secondo le stesse regole di qualsiasi altro Paese del mondo. Poi ci sono gli autobus. Le destinazioni delle corse sono scritte su una targhetta posta sul parabrezza ma vengono sempre urlate dal copilota quindi non si può sbagliare. Inoltre, i peruviani sono un popolo estremamente ospitale e gentile, quindi in caso di dubbio basta chiedere al proprio compagno di viaggio. L’altro sistema che notai immediatamente è quello dei “Combi” . Si tratta di minibus, ma molto spesso anche di auto a 5 posti, dove si condivide la corsa con altri passeggeri. Si può salire e scendere dove si vuole perché non c’è una destinazione precisa da seguire. Può sembrare assurdo ma è un sistema che funziona alla perfezione. Col tempo ne avrei fatto un largo uso e sarebbe diventato il mio principale metodo di spostamento insieme al mototaxi (quello che è comunemente conosciuto come tuc-tuc in Asia).

I mezzi di trasporto locali sono uno dei fattori che mi colpisce sempre quando viaggio. Per me sono il simbolo evidente di come si vive in un luogo. Se penso ai paesi del Nord Europa immediatamente vedo tram, filobus, metropolitane e bicilette. Se penso all’Italia vedo sì autobus ma ancora di più auto private, vespe e motorini. Il Perù ha un simbolo di trasporto, ed è il mototaxi nella sua versione basic e  nelle numerose varianti. E’ il taxi dei villaggi, ed è una delle principali fonti di reddito dei peruviani, e anche Lima ne era invasa.

Guardandomi intorno con lo stesso senso di stupore dei bambini iniziavo a delineare i tratti caratteristici della città.

A Lima convivono le più forti contraddizioni del Perù. I quartieri centrali di Miraflores, Barranco e San Isidro sono ricchi e sfarzosi. Vi risiedono i peruviani del ceto benestante ed è qui che sono ubicate le varie attrazioni turistiche che rendono la capitale una meta del turismo internazionale.

Al rededor di questi si stagliano kilometri e kilometri di baraccopoli. Nei sobborghi poveri la criminalità è una vera e propria piaga. Persone comuni rischiano la vita quotidianamente. La miseria è un dato allarmante che attanaglia la maggioranza della popolazione limeña e non solo. Più tardi avrei conosciuto queste disugualianze da vicino, attraverso la testimonianza diretta delle persone che le hanno vissute sulla propria pelle, ma in quel momento tutto si presentava come una scoperta continua. 

La mia missione giornaliera andò a buon fine. Al termine del mio primo giorno in Perù sapevo di dover prendere un volo interno per raggiungere Trujillo e da lì sperare in un autobus per Huamachuco. Ero in contatto con i volontari che erano già nel progetto, i quali mi rassicuravano sul fatto che la strada per Huamachuco sarebbe stata aperta. Ma di fatto, né loro, né  tanto meno io, potevamo averne certezza assoluta se non arrivando alla stazione e controllando di persona.

Avevo anche trovato la carta sim, ma solo in seguito a infinite ore di ricerca e contrattazione.

Le schede sim locali sono riservate ai soli detentori di passaporti peruviani. Si può tentare di eludere questa regola solo e soltanto acquistandole a Lima, dove, dato l’alto numero di turisti, c’è una maggiore flessibilità da parte dei venditori.

Il viaggio era realmente iniziato e proprio in quei momenti cominciavo anch’io a rendermene conto.

Nel giro di poche settimane avevo deciso di intraprendere questa nuova esperienza, carica di aspettative e di insicurezza.

Quel pomeriggio a Lima mi fermai per qualche ora a guardare l’oceano Pacifico. Era la prima volta che lo vedevo.

L’arroganza con cui i surfisti dominavano quelle onde maestose mi spingeva a pensare che anch’io ce l’avrei fatta. Che avrei vinto la mia insicurezza cronica, che quello era il momento della mia vita e che sarei stata all’altezza di tutto ciò che mi aspettava.

Con il mio taccuino in una mano, e gli appunti di spagnolo nell’altra, presi il volo per Trujillo la mattina seguente.

Huamachuco era sempre più vicino.

 

4 Commenti

  1. Walter

    Grazie per il bell’articolo 🙂

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    • Silvia

      Grazie a te Walter! Mi fa molto piacere ti sia piaciuto 🙂

      Rispondi
    • Silvia

      Ciao carissima Ljuba! ma certo che si! il tuo aiuto fu preziosissimo per me in quel momento! Non dimenticherò mai l’accoglienza tua e di tua mamma quel giorno. In pratica, tutto quello che è stato il mio percorso successivo lo devo anche a voi! un abbraccio

      Rispondi

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SILVIA

Yogi, consulente di comunicazione, nomade digitale.

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