Dal livello del mare a 3000 metri. Pensieri e sensazioni dal mio arrivo a Huamachuco, casa in Perù

che cosa è un brand

Yogi | consulente di comunicazione | nomade digitale

Sviluppo idee creative per aiutare brand e destinazioni a trovare clienti grazie a contenuti web mentre gestisco male la mia dipendenza da viaggi e caffeina.

[La rubrica Perù contiene articoli di narrativa. Se vuoi leggere quello precedente a questo lo trovi qui]

 

L’estenuante viaggio da Trujillo a Huamachuco

 

Trujillo dista 120 Km da Huamachuco.

E’ una rotta tortuosa, aspra e piena di insidie.

Le strade nei Paesi in via di sviluppo sono una metafora perfetta della vita.

Pochi e brevi tratti dritti, e molti, moltissimi tornanti, dirupi scoscesi che ti scuotono l’anima, polvere arida che si mescola al vento e orizzonti vasti dei quali non si conosce che ciò che si vede.

Prendo l’autobus con Jésus, un ragazzo spagnolo che lavorava già nel progetto da qualche mese.

Si trovava sulla costa per aiutare alcune organizzazioni locali impegnate nella distribuzione di farmaci e di alimenti.

Le comunità costiere erano state fortemente colpite dalle alluvioni de El Nino.

Mentre aspettavo alla stazione degli autobus il notiziario locale mostrava la città di Piura completamente allagata. Le case erano quasi del tutto sommerse dall’acqua. Le persone nuotavano nelle strade ricercando i propri cari.

Una situazione disastrosa che aggravava ancora di più le condizioni di vita di una popolazione povera alle prese con uno stato sociale inesistente.

Jésus era anche la prima persona che incontravo tra i ragazzi con cui avrei trascorso i mesi successivi.

Viaggiare da soli non è difficile.

Si prende qualche bagaglio e ci si inizia a spostare da un luogo all’altro, con i nostri tempi, le nostre abitudini, i nostri pensieri.

Aprirsi agli altri invece è tutta un’altra cosa.

E’ proprio in quei momenti che tutte le paure più recondite iniziano a farsi strada. L’ansia di non essere all’altezza di qualcosa si avvicina, l’insicurezza che vive radicata dentro ognuno di noi si presenta con prepotente forza.

Così in quel momento mi sentivo stupidamente così insicura e incapace di far qualsiasi cosa.

Escludemmo di parlare in Spagnolo perché io non riuscivo ancora a mettere in fila tre parole così continuammo in Inglese. In un attimo compresi ciò che già sapevo. Jésus era una persona veramente alla mano, ed io mi trovavo in un luogo sicuro.

 

 

Fuori dal finestrino la vegetazione tropicale della costa lentamente lasciava spazio un paesaggio più brullo, composto da alte colline avvolte dalla nebbia.

Le curve della strada erano tremende, e posso assicurare che questa affermazione, detta da una volterrana, non è da prendere alla leggera.

Per raggiungere la mia città natale infatti le strade sono un susseguirsi di tornanti a gomito che fanno una degna concorrenza alle curve delle località di montagna.

Il nostro autobus malconcio della compagnia “Mercedes” proponeva addirittura un film per aiutare i passeggeri ad ingannare l’attesa.

Per ben 5 ore di viaggio si susseguiva ininterrottamente un cortometraggio  di circa 20 minuti incentrato sulla vita di Pablo Escobar.

In altre parole ognuno di noi avrebbe potuto scriverci un trattato sulla vita di Escobar una volta arrivati.

Lungo la strada, di tanto in tanto si incontravano case.

Avevano il tetto a falde e le facciate di mattoni a vista.

 

 

Non c’erano delle vere e proprie fermate dell’autobus ma ogni tanto ci fermavamo a far salire nuovi passeggeri e qualche signora che vendeva generi alimentari o bevande. Una usanza veramente tipica sui mezzi pubblici peruviani ed il modo migliore per assaggiare alcune prelibatezze locali come i Tamales.

 

Huamachuco esiste davvero

Dopo circa cinque interminabili ore arrivammo a Huamachuco.

Ero stanchissima.

Avevo preso il mio volo da Lima prestissimo ed avevo viaggiato per più di 10 ore.

L’autobus arrivò di fronte ad un edificio tutto colorato quando Jésus mi avvertì che quella era la nostra fermata.

Scendemmo e due bambini corsero verso di noi per abbracciare Jésus. Ero una completa estranea in quell’ambiente ma in qualche modo sentivo l’importanza che avrebbe avuto quell’esperienza nel vedere l’affetto e l’amicizia con cui Jésus si rapportava a quei bambini.

In brevissimo tempo li avrei conosciuti bene. Mi avrebbero venduto le banane tutte le mattine dal negozio dei loro genitori di fronte a casa nostra.

Era veramente freddo.

Infatti in soli 120km avevamo lasciato la costa del Pacifico e ci trovavamo a 3000 mt di altitudine sulle Ande.

Il paesaggio andino del Perù non ha le caratteristiche proprie dell’alta montagna così come ce le immaginiamo pensando alle Alpi europee. Ha l’aspetto molto collinare che ricorda le regioni dell’Italia centrale ma anche le zone del nord del Marocco.

E’ un ecosistema particolare caratterizzato da un clima estremo come dicono i peruviani.

Ben presto ci avrei fatto amicizia ma in quel momento congelavo e basta.

Prendemmo gli zainii e ci dirigemmo all’interno dell’edificio della Casa Marcellino.

Un luogo che sarebbe diventato tra i più importanti e significativi della mia vita.

Attraversammo il cortile e salimmo le scale che conducevano al nostro appartamento. Gli altri ragazzi sarebbero arrivati più tardi perché avevano passato il weekend in un paese vicino per fare trekking.

 

 

Ero arrivata.

Il viaggio che da Volterra era cominciato esattamente 4 giorni prima si era concluso.

Ero a Huamachuco, nella casa Marcelino.

Nonostante El Nino.

Nonostante non fossi mai partita da sola per un Paese in via di Sviluppo senza neanche parlare la lingua locale.

Ero a casa. Ma in quel momento non mi sentivo ancora a casa.

Avevo un freddo cane e avrei voluto soltanto farmi una bellissima doccia calda.

Ma l’acqua non c’era.

 

Ero arrivata realmente in Perù.

Lontano dalla capitale, lontano dal turismo. Lontano, lontanissimo da casa mia e dalla mia famiglia.

Ricordo che in quel preciso momento pensai: “ma dove diavolo sono venuta? Ok, durerà solo pochi mesi”.

Sorrido ripensandoci perché poi non avrei più voluto lasciarla quella montagna andina.

 

Dopo qualche ora arrivarono gli altri ragazzi. Simay, Claudia, Lara, Bruno ed Elisa.

Li avrei conosciuti tutti col tempo, e sarebbero diventati alcune delle persone a cui tengo di più al mondo.

Elisa, genovese ed una delle anime più pure e più libere che abbia mai incontrato finora, fu fin da subito il mio porto sicuro.

Mi diede la mano e mi accompagnò in famiglia, con quella sua autoironia e bontà sconsiderata che ancora oggi mi allargano il cuore ogni volta che penso a lei.

Uscimmo di casa e andammo tutti insieme a mangiare uno dei piatti più schifosi della storia, in un ristorante cinese in Plaza de Armas.

Ancora non lo sapevo ma ero entrata a far parte della Peruvian Family.

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SILVIA

Yogi, consulente di comunicazione, nomade digitale.

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